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Andre
4 min readFeb 2, 2024

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Mamma come vorrei fare come Adele e dare i numeri della mia età agli album, nel mio caso, però, mentendo spudoratamente, perché i miei andrebbero letti da destra a sinistra quest’anno.

Siccome il mio volo è per poveri di portafogli ma non di spirito, viaggio con uno zaino riempito come le labbra di una influencer qualsiasi. E niente libro, quando ho fatto la valigia tre minuti prima di correre a Malapensa per l’ennesima emergenza lavorativa il libro è rimasto sul comodino. Succede quando tutto è un’emergenza, ma vorrei soffermarmi sul pensiero. Se tutto è un’emergenza forse non lo è niente e abbiamo a che fare con due cose. O ansia da prestazione o non saper usare un’agenda. Nel mio caso l’agenda è già delineata fino a settembre quindi non provateci.

Allora che faccio, scrivo, così mi libero da questa bella idea che io non abbia niente da dire.

Parigi Parigi Parigi. Uno dei pochi posti che sento mio, ne ho già scritto, ma ieri mentre camminavo mi sono reso conto di una cosa. Cammino tutta sola per le strade guardando attentamente i monumenti come la raffa ovvio, ma stavolta ho percepito qualcosa di diverso. Un esperimento difficile mentre all’esterno tutto era lì per rovinarmi la trasferta (pare incredibile ma si, per ero la lavoro e si, a spese mie). Richieste assurde, spieghe inutili, capriccetti vari che non mi hanno fatto nessun effetto. Sì questo mi ha stupito. Sarebbe poco intelligente stupirsi di quello che si può inventare un cliente quando decide che è il tuo momento. È semplice, se non sei abituato o non ti va bene, vai a fare il dipendente, il lavoro padronale italiano è gravitazionale e poco meritocratico. Non è questo il punto. Divago. Scusate.

Il punto è un tema di percezione. Quanto vale la pena consentire ad una qualsiasi causa esterna di interferire con quella che è l’essenza interna. Mi spiego meglio. Non è possibile, almeno che non si sia ricchi da fare schifo, non lavorare e non essere rotti di coglioni. Se tutto quello che percepiamo è una lettura personale volta al male, per abitudine del nostro pigro cervello, non è allora possibile girare la cosa? Io non l’ho fatto di proposito e non posso dare la formula magica, posso solo dire che studio parecchio.

Il Punto di rottura della forte volontà altrui di rovinarci la giornata o la vita (ma è veramente così? Sicuro?) non è dire no. Non basta e forse quello fa solo incazzare. Se però mi osservo, e io l’ho fatto eh, quando mi arriva quel messaggino del lavoro o quella mail delirante, vedo che posso scegliere più strade. Di solito, il mio carattere di merda garantisce la risposta per le rime, tendenzialmente sarcastica, che ovviamente capisco solo io e so già che la mia psicologa che poi giovedì mi sgriderà.

Allora mi sono sono detto aspetta. Prima cosa: sto salvando una vita? No. Seconda cosa: quanto mi interessa dedicare a questa cosa? A livello di tempo ed emotivo? Le ho sempre pagate amaramente le mie rispostacce e dichiarazioni. E se invece di incazzarmi per i piedini puntati gne gne gne mi alzassi, guardassi attorno a me e vedessi che c’è Parigi che dal 1992 mi vede crescere? E boom, clic, din don, toc toc, come volete voi. Il salto è avvenuto.

Con una paura proporzionale alla mia base per altezza diviso due, ho ridimensionato. Sono a Parigi, che cazzo, tu (ipotetico) non mi rovini la giornata. Posso battere i piedi, ma non lo facevo nemmeno nel 1992, o posso marcire di rabbia. Oppure da adulto vedere la cosa come è. Ed è una cosa bellissima perché se svuoti lo spazio che si prende l’ansia (e ormai la conosco brutta merda) si libera un mare di perfezione. Che è un cambio lettera minimo da percezione con la C.

Così mentre pensavo alle mail che arrivano e non erano più un mio problema finché non avrei avuto tempo per leggerle, ho rivisto una serie di cose che mi fanno amare quella città. Me che ritorno ventenne la sera tardi nel mio buco a Place des Victories, o un paio d’anni prima ancora a urlare bon annee sotto la torre nel 2000. Sugli Champs la sera con Stefano e germana fuori dal Queen. Nel quinto a dormire da un’amica di non so chi, nel sedicesimo a dormire da Erika in uno scantinato, quella volta che Sono andato a sbattere contro Sagat nel Marais o quando Garrell mi ha fatto capire una cosa che non può dire. Due però hanno vinto come ricordi perché sono i più vicini sono ancora tiepidi. L’anno scorso mentre camminavo con mia mamma, sul tetto dei Primtemps mi dice “sono felice di essere qua con te”. O ancor più zuccherina per gli aridi qui alla lettura, rivedere tutte le strade fatte in otto anni tenendo sempre la stessa mano (quando me lo concede) e sentire che stavolta fa così strano non essere lì in due.

Insomma ho fatto spazio a quello che conta è Parigi mi ha regalato pure questo.

Ps. Confermo anche questa volta mi sono fatto cambiare stanza perché le stamberghe le possono lasciare ai turisti. Io a Parigi sono a casa

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Andre

Alle medie volevo essere il Principe di Bel Air, ma in verità ero Raven.