Quindicinale — nove

Andre
4 min readJul 20, 2022

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La temperatura aumenta, mi verrebbe da dire che il tema del caldo è scottante, così finalmente mi prendono a Studio Aperto, ma non lo farò.
In questi giorni di incendi reali e politici, mentre la Terra sembra dirci che si è gentilmente scassata della nostra presenze e delle suore con l’insolazione urlano al demonio interrompendo il bacio (scenico) di due ragazze, ho pensato che fosse il caso di andar avanti col quindicinale.
Tanto state già boccheggiando, peggio di così.

Il quindicinale appena trascorso mi ha riportato alle origini. Italiano per caso e francese di spirito, decido di portare in vacanza mamma e ciurma dove tutto l’amore viscerale per la Francia ebbe inizio: in Provenza. Negli anni ho scritto e riscritto di questo legame quindi cerco di non ammorbarvi come una replica di Quando si ama, ma ora che sono arrivato a quel numero che continuo a detestare, ma riesco a scrivere, 40, rimango ancora stupito dal tuffo al cuore (Raffacit.) che mi arriva ogni qual volta che sì, in barba a tutte le indicazioni del traffico, passo per la costa, e dalla Liguria che non finisce più, passo alla Francia.

Mi rivedo nell’Espace di mio padre, rigorosamente lato sinistro della monovolume: questo mi consentiva di guardare le macchine che, ai primi viaggi, ostentavano ancora fari gialli e targhe nere, grandi anche davanti. Le nostre targhe nere, abbandonate a metà anni ’80 avevano tutto il rinsecchimento di un cultura automobilistica andreottiana, incassata e priva di (apparente) personalità. Facevano sembrare sfigate come una Regata anche le Mercedes-Benz. In Francia invece la targa era grande, i numeri erano d’argento e non bianchi e soprattutto le macchine erano tante più che da noi.
Ma non è quello il motivo del tuffo al cuore. Superato il confine, superata la costa con i suoi colori perfetti, ci si addentra verso la pianura e lì, ai miei occhi di 9enne, c’era il Grand Canyon. Non avevo mai visto una cosa del genere, una vista così larga, infinita, aperta. I miei occhi rubati al cinema già avevano però notato due cose fondamentali: la varietà, con le auto e lo spazio, col finto canyon.

Avevo 9 anni, 9 come i franchi che mi servivano per comprare AutoPlus, che era il cugino del nostro Auto Oggi, che non esiste più. Avendo fatto il mio pezzo di mondo editoriale automobilistico, ora mi è chiaro perché.
Non capisco perché in quei 9 anni lo stupore si tramutò in affezione immediata per la terra francese. Quando giro per la Camargue o per la Provenza io veramente mi sento a casa, mi sento in famiglia, cresciuto in un posto che manco sa che io esista. Vedi a volte la percezione, che errori che ci fa fare. Non ho mai sentito nel naso, nel petto, gli stessi odori che mi ricordo della Provenza, non ho mai trovato un’altra luce che mi piacesse come quella calda della Camargue. Non so perché, è semplicemente successo.

Che amarcord sto post. Il cast di questo viaggio era quasi perfetto. Spiego il quasi alla fine, così capite meglio. Sono partito con mia mamma, sono stato raggiunto dalla mia dolce metà Alessandro e dalla mia amica profondamente tale Giulia, con marito e amico. Quindi c’era la parte che ha creato il mio cuore, che lo alimenta e quella che lo capisce senza spiegazioni. Pensate a come vi piaceva il pranzo di natale, solo che invece di durare qualche ora, il mio pranzo di natale è durato 4 giorni. Il tema del cuore perfetto, che lo è per definizione mentale ma non per vocazione di ricerca, mi ha scaldato e saldato dentro. Strutturale, epocale, profondo. L’unico appunto, e qui il quasi del perfetto è che mancava mia sorella, mancava mia sorella anche in versione upgrade con compagno e figlio. Povero Martino, sarà obbligato a venire in Francia con lo zio. Anzi poveri voi, perché come ogni anno romperò a tutti per stare in Provenza almeno una settimana. Che ci devo fare, mi ricarica, mi sento a casa, mi sento connesso.

Altro motivo della mia visita è Les Rencontres D’Arles. Da luglio a settembre la città ospita il festival della fotografia che più mi piace. Perché non è, per esempio, come a Palazzo Reale che abbiamo Toscani che ci propone la stessa foto da 40mila anni. Una mostra imperdibile, mai vista prima. Bah. Dicevo, ad Arles ci sono centinaia di fotografi, da tutto il mondo, che espongono in giro per la città in palazzi dismessi, chiese sconsacrate, musei veri e propri. Una mostra che è sempre stata per me come un master, le cose che vedevo imparavo e poi elaboravo per il mio lavoro erano tantissime. Fino al COVID. Ora che la mostra è ricominciata, ora che tutto riparte la botta è forte. La fotografia racconta il nostro tempo, e in questo momento ci racconta l’introspezione dei fotografi, i tempi incerti, la guerra. Non è andata affatto come mi immaginavo, non mi sono nemmeno comprato come sempre il catalogo, ho voluto lasciare lì.

Perché la mia settimana in Provenza non è per me, è per quel 9enne che sono io che ha gli occhi a cinema e il naso perso nel burro. Che 31 anni dopo ha la libertà di coscienza di dirsi “sì, segui quel bambino di 9 anni, quel bambino sei tu” che non è altro che quello che faceva dire a Mastroianni il mio maestro Fellini: questa confusione sono io.

Che bello
A bientôt

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Andre

Alle medie volevo essere il Principe di Bel Air, ma in verità ero Raven.